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EDIFICI STORICI MEMORIA

Le brecce della cinta magistrale: la città in espansione

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Con la fine del XVIII Secolo la cinta muraria della città di Verona venne meno alla sua funzione principale. Il suo riutilizzo allora diventò un tema ricorrente che la città aveva in comune con molte altre capitali europee. Ma mentre, soprattutto nelle regioni germaniche, i piani regolatori prevedevano sistemi anulari di circonvallazioni che sostituivano o affiancavano le mura esistenti, a Verona la questione venne posta con un certo ritardo. La motivazione era dovuta al notevole ruolo strategico che Verona ricopriva in quanto grande piazzaforte austriaca, che impedì qualsiasi evoluzione urbana all’esterno delle mura fino agli inizi del ‘900. La costruzione di nuovi ponti e l’apertura delle brecce segnarono i passi fondamentali di questo processo.

Il primo impuslo urbanistico

Alla fine dell’800 l’Amministrazione Camuzzoni decise di avviare l’industrializzazione della zona del Basso Acquar, primo tentativo di urbanizzazione nel territorio esterno alle mura. Questo intervento, a causa delle vicinanza con le mura in molti punti, pose le condizioni per la progressiva erosione del sistema murario.
Col nuovo secolo la città iniziò l’espansione fuori dalle mura, tuttavia in modo molto spontaneo e disorganizzato. Molti dei valli e altre aree di proprietà del demanio furono rese terreni edificabili. L’intento era quello di dare continuità e ricongiungere i nuovi quartieri al centro storico. L’impulso maggiore all’espansione arrivò con la pianificazione prima, e con la costruzione poi, della stazione di Porta Nuova, che rese necessaria un’attenta progettazione urbanistica pubblica.

La pesante eredità delle mura

La presenza della stazione rese necessaria la creazione di misure che ne rendessero disponibile la fruizione, come il vasto piazzale, l’adeguamento della viabilità, un ponte d’accesso sul canale Camuzzoni. Venne allargato Vialone Porta Nuova, divenuto il principale asse dell’espansione della città a sud. Lo scalo ferroviario favorì la formazione di grandi insediamenti produttivi nei dintorni, che incoraggiarono l’edilizia abitativa soprattutto economico-popolare. L’Amministrazione quindi destinò le zone esterne a questo tipo di iniziativa edilizia, lasciando alla borghesia i quartieri di Borgo Trento e Valdonega. La speculazione fondiaria tentava di condizionare l’Amministrazione Comunale per accelerare la messa in valore delle aree demaniali della cinta fortificata. In questo quadro le mura erano percepite più come un’eredità ingombrante che come monumenti.

Il dibattito sul riuso

Parallelamente la Commissione Conservatrice, insieme a quella della Soprintendenza, potenziava l’azione di tutela in conseguenza alla legge 364 del 1909 del Ministero della Pubblica Istruzione. In questo modo la questione della monumentalizzazione delle mura divenne ancor più sentita come una minaccia vera e propria allo sviluppo della città. L’Amministrazione si orientò chiaramente verso l’abbattimento dei bastioni a sud della città, ricorrendo ad ogni mezzo possibile: dalle pressioni politiche all’esecuzione abusiva dei lavori. Il Consiglio Superiore di Antichità e Belle Arti difese fortemente la conservazione delle mura, suscitando vivaci reazioni da parte del Consiglio Comunale. I rapporti tra Municipalità e autorità pro-conservazione rimasero tesi a lungo.

Le conseguenze della forte espansione

La ritardata pianificazione urbana creò molti effetti negativi, soprattutto in Borgo Venezia. Nella zona circostante la stazione di Porta Vescovo infatti, sorsero costruzioni senza alcun senso estetico né regola di allineamento. Il piano regolatore generale voluto dall’Amministrazione Gallizioli nel 1910, pur se limitato, servì ad organizzare molte aree della città e a dotarle delle basilari norme di decoro e salubrità. Le altre aree di notevole espansione erano Tomba e Tombetta nei pressi del Basso Acquar e Santa Lucia attorno alla stazione di Porta Nuova. Di fronte alla crescente domanda di abitazioni l’Amministrazione si trovà in difficoltà a reperire aree per l’edificazione a basso costo esterne alla cinta urbana. Iniziarono subito trattative per la cessione delle fortificazioni militari e delle aree annesse.

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Immagine di Porta San Zeno ad inizio ‘900. Foto in Wikipedia.

Il pensiero dietro le brecce

In quegli anni l’intero Consiglio Comunale era determinato a “liberare la città dalla cinta dei bastioni”. Ma trovò nella figura del Soprintendente ai Monumenti di Verona Alessandro Da Lisca, nel Consiglio Superiori delle Antichità e Belle Arti e negli artisti cittadini dei forti antagonisti. Da Lisca, studioso delle fortificazioni, conosceva la complessità di significati presenti nelle fortificazioni. Egli denunciò l’atteggiamento di “colpevole inerzia” del Ministero dei Lavori Pubblici che incoraggiava implicitamente i sistemi del Comune. Con il 1914 il Comune propose un piano regolatore che prevedeva l’ampliamento di Porto San Pancrazio, Campagnola e Valdonega, Tomba, Tombetta e Santa Lucia. Un piano invece separato per il rione di San Zeno. L’idea era quella di agevolare lo sviluppo del cerchio industriale attorno allo scalo di Porta Nuova.

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Immagine di Porta San Zeno oggi. Foto in Wikipedia.

La Breccia di San Zeno

Lo stesso scalo comportò anche la progettazione di una rete infrastrutturale su scala locale e urbana che doveva unire rapidamente le aree esterne al centro storico. Si delineò il primo disegno di circonvallazione, ma soprattutto venne definito l’abbattimento dei bastioni a sud della città.
Nel 1912 l’Amministrazione delibera l’apertura di brecce “attraverso il bastione fortilizio” sul lato est della porta, sollecitando il parere della Soprintendenza. La Commissione provinciale per i monumenti si esprime approvando l’intervento ma ponendo la condizione che il basamento rimanga libero dall’interramento. L’Amministrazione diede avvio ai lavori e decise di mantenere il ponte in muratura che scavalca il fossato.

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Porta Nuova negli ’60 del XIX Secolo. Foto in Wikipedia.

Il degrado delle mura

L’apertura della breccia innescò però il problema della chiusura della porta e del riutilizzo delle porte urbane dismesse. L’ambiente culturale veronese, all’epoca poco propenso alla conservazione e valorizzazione delle mura, non consentì l’affermarsi di politiche di riuso delle fortificazioni consone alla loro importanza storica ed architettonica. Cessata la funzione militare e non ancora integrate nella pianificazione, le mura rimasero esposte alle mire di interessi privati, tesi a distruggerne la memoria storica. La stessa Amministrazione finanziaria contribuì al degrado, consegnando i compendi successivi alla cessione militare a privati per trarne un utile. Consentì di fatto all’utilizzo dei valli come cave di sabbia e ghiaia.

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Porta Nuova oggi. Foto in Wikipedia.

Brecce di Porta Nuova

Il programma dell’Amministrazione prevedeva l’apertura di due brecce ai lati dell’edificio sanmicheliano e l’abbattimento di alcuni tratti della cinta magistrale nei pressi di Porta Nuova e Porta Palio. L’obiettivo era collegare la fine del Corso Vittorio Emanuele con il grande vialone sul lato opposto dell’area ferroviaria. L’apertura delle brecce avvenne con effetti traumatici per i cultori della storia e dell’arte, che indussero il Ministero della Pubblica Istruzione, tramite la Prefettura, a sospendere i lavori. Nel 1922 il Consiglio Superiore per le Antichità e Belle Arti dispose la sistemazione di Porta Nuova, che doveva avvenire in mod tale da riportare la porta, il più possibile, alla sua condizione di splendore. La Soprintendenza predispose invece un progetto di massima per la ricostruzione della porta su indicazione ministeriale.

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Progetto di Michele Sanmicheli su Porta Nuova. Foto Wikipedia.

Breccia di Porta San Giorgio

Il 17 Febbraio 1913 venne approvata l’apertura di una breccia sul fianco nord della Porta San Giorgio, necessaria per migliorare la viabilità e potenziare la linea tramviaria. Inizialmente il Ministero accolse la richiesta del Comune di aprire la breccia con l’obbligo di realizzare due fornici di altezza pari a quella dell’apertura della porta. Impresa che risulterà impossibile in quanto il transito del tram richiedeva una luce minima di quattro metri fra i piedritti, che avrebbe causato inconvenienti estetici ma soprattutto funzionali. Il Ministero incarica, nel 1917, l’architetto Guido Cerilli di riesaminare la questione. Cerilli rileva che l’apertura di una breccia non produrrebbe alcun disturbo estetico anzi, comporterebbe un miglioramento regalando una notevola vista sul campanile di San Giorgio.

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Porta san Giorgio fotografata ad inizio ‘900. Foto in Wikipedia.

Gli interventi dopo la Breccia di San Giorgio

Il progetto sulla breccia passò e, nel 1922, l’Associazione dei Combattenti di Verona ottenne l’affitto il tratto dello spalto dei bastioni austriaci compreso tra Ponte Garibaldi e la Porta di San Giorgio. Fu l’Associazione ad adattare l’area a giardino pubblico intitolato alla Vittoria. Filippo Nereo Vignola, figura singolare di artista e più tardi podestà, appoggiò l’idea di trasformare i bastioni in giardini ombrosi. Trovò in questa funzione una valida possibilità di riuso incontrando le necessità cittadine pur rispettando il carattere monumentale e storico delle costruzioni.
Nel 1929 però si ritenne necessario aprire ulteriori brecce. L’Ufficio Tecnico comunale delineò un progetto di abbattimento delle mura fortilizie per la costruzione di un piazzale, che trovò lo sbarramento del Consiglio Superiore di Antichità, il quale riconosceva il valore storico delle opere militari.

Porta San Giorgio Oggi
Porta San Giorgio oggi. Foto in Wikipedia.

I pareri contrapposti sulle brecce

Nel frattempo, la Commissione Provinciale dei monumenti, che aveva cambiato composizione e orientamento, portò una serie di argomentazioni tese a dequalificare il valore delle fortificazioni. Sfruttò l’argomento del degrado e dell’abbandono osservando che i valli erano stati riempiti negli ultimi anni e i bastioni manomessi, lasciando una generale condizione di trascuratezza. Si cercò pertanto di giungere a una soluzione di compromesso. La nuova soluzione prevedeva di riattivare il vallo asciutto con una congrua immissione d’acqua e di costruire dei ponticelli che avrebbero collegato il parco già esistente con il futuro “piazzale Balilla”. Tale lavoro avrebbe comportato il sacrificio necessario di un tratto della cortina veneziana a sinistra della porta.

Porta Vescovo Fotografata Dalla Campagna A Fine 800
Porta Vescovo come appariva alla fine dell’800. Foto in Wikipedia.

Breccia della Madonna del Terraglio

Nel frattempo l’intensificarsi dell’urbanizzazione anche nella zona di Valdonega richiese l’apertura di brecce nel tratto di mura ai piedi della collina. Si voleva collegare il centro cittadino ma allo stesso tempo anche evitare Ponte Garibaldi, all’epoca ancora a pagamento. Il Ministero acconsentì ai lavori a patto che anche qui l’apertura venisse chiusa superiormente con un’arcata a modo di fornice. L’operazione partì ma senza nessun riguardo per le esigenze di salvaguardia del valore storico. Una volta realizzata la breccia nessuno poi pensò più al fornice.

Porta Vescovo Oggi
Porta Vescovo oggi. Foto in Wikipedia.

Breccia di Porta Vescovo

Il quartiere che nasceva fuori Porta Vescovo alla fine dell’800, conosciuto allora come Cimitero Israelitico, nella seduta consiliare del 6 Novembre 1900 prese il nome di Borgo Venezia. Nel 1911 iniziarono i lavori di modifica della fascia a ridosso delle mura senza progetti precisi. Vennero interrati i valli a destra e a sinistra della porta al fine di creare due piazzali simmetrici per le stazioni tramviarie delle linee Verona-Sanbonifacio e Verona-Grezzana. La creazione della Breccia però avvenne questa volta nel rispetto delle prescrizioni ministeriali. Si ebbe quindi un passaggio in forma di fornice, più sintonia con l’architettura presente, sebbene la sistemazione urbanistica operata fino a quel momento risultò totalmente insoddisfacente.

Porta Palio In Un Disegno Da Character Of Renaissance Achitecture 1905
Porta Palio in un disegno da “Character Of Renaissance Achitecture”, 1905. Foto in Wikipedia.

La risposta popolare

Il quartiere sorse con uno sviluppo molto disordinato e le proteste dei cittadini dopo la costruzione della stazione tramviaria diedero adito ad un colorito dibattito sulla stampa cittadina. Per delimitare infatti l’area destinata allo scalo, venne costruito un muro di recinzione che delimitava la visuale sulla Valpantena alle abitazioni. Il Ministero decise di inviare sul posto l’architetto Adolfo Coppedè, membro del Consiglio Superiore di Antichità e Belle Arti, con il compito di esaminare le problematiche presenti. Una serie di dibattiti successivi mise in evidenza gli interessi pubblici di cui la tutela ambientale faceva parte. La difesa dell’Amministrazione Provinciale, giocando sulla contrapposizione di interessi tra gli abitanti di Grezzana e Borgo Venezia, finì per lasciare invariato il progetto. Il tutto si risolse con la demolizione del muro “per furor di popolo”.

Porta Palio Oggi
Porta Palio oggi. Foto in Wikipedia.

Breccia di Porta Palio

L’Amministrazione Comunale nel 1911 richiese l’autorizzazione ad isolare la Porta Palio abbattendo i bastioni laterali. La Commissione conservatrice dei monumenti accolse la richiesta ma il Consiglio Superiore di Antichità la respinse. A causa del non elevato traffico nella zona la questione venne procrastinata fino al 1936, quando l’Amministrazione approva l’apertura di due brecce. Presentati tre progetti che miravano a mantenere il più possibile inalterata la porta sanmicheliana, il Ministero dell’Educazione Nazionale, sentito il parere del Consiglio Superiore nell’adunanza del 9 Ottobre 1936, respinse tutte le proposte. Ritenne infatti importante mantenere inalterata la Porta cinquecentesca, “insigne esempio di architettura militare”. La questione si risolse poco tempo dopo con la demolizione abusiva delle mura laterali ad opera del Comune, che agì secondo la collaudata politica del “fatto compiuto”.

Le brecce della cinta magistrale: la città in espansione ultima modifica: 2020-10-28T09:49:10+01:00 da Luca Fratton

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