Durante l’800 imperava un dibattito che oggi sembra riacquistare spessore. Che sia la pittura murale un elemento complementare della struttura muraria, oppure un suo subordinato? Cesare Brandi riconobbe la pittura murale come punto intermedio tra la funzione di soddisfazione di bisogni precisi e aspirazione alla forma. Per il gran numero di artigiani veronesi, quindi, la questione dell’ornato era in stretta relazione con quella dell’architettura. Era il raccordo tra utensilità e monumentalità. La pittura murale a Verona, dunque, appare evoluta ma non cambiata dalla cultura dell’affresco ai graffiti.
La pittura murale a Verona: l’affresco
Nei lavori di riqualificazione e arricchimento della Verona di inizio ‘900 si scorgeva l’influenza anglosassone. I progetti e i pensieri sui nuovi borghi godevano del supporto teorico degli scritti di personaggi come John Ruskin, critico d’arte londinese. Architetti e committenti delle ville di Borgo Trento aspiravano a recuperare il passato attraverso contaminazioni eclettiche. Ruskin sosteneva la riqualificazione dell’artigianato e la riscoperta di un sistema di lavoro collettivo strutturato secondo i criteri delle botteghe. Tuttavia gli artigiani andavano via via diminuendo, benché l’affresco continuasse a essere molto popolare, anche grazie a una strategia di propaganda politica.
I cicli murali a Verona nei primi decenni del secolo erano riconducibili a due filoni distinti: uno legato a una committenza privata, che voleva soluzioni moderne liberty o secessioniste, l’altro connesso alle imprese pubbliche, di stile classico e tradizionale.
Gli esponenti della pittura murale veronese
Nel 1885 arrivò a Verona Attilio Trentini, salutato come “colui che portò nella pittura murale Veronese un soffio nuovo di quel buon gusto che era andato in disuso”. Le sue opere contribuirono ad accendere un’ansia di rinnovamento che avrebbe connotato il panorama culturale fino alle soglie della prima guerra mondiale. Dalla sua bottega fiorirono i cicli nelle chiese di Bardolino, Malcesine, Poiano, Tarmassia e nel palazzo del Supercinema Verona.
Carlo Donati invece seppe emergere da un contesto omogeneo, interprete di tematiche sacre che gli valsero l’appellativo de “il Mistico”. Donati fu un interprete isolato nel veronese, con un linguaggio intriso di suggestioni preraffaellite. Il recupero di una forma di primitivismo, vena mistica e finalità morali erano elementi, ancora, condivisi con il movimento anglosassone.
Andrea Zamboni, infine, esordì appena diciannovenne. Con lui si raggiunse, in villa La Pavarana di Azzago di Grezzana, il vertice del liberty veronese.
Le opere murali pubbliche
Il primo esempio di pittura murale a Verona in stile Novecento si trova nella sede della Cassa di Risparmio in via Garibaldi. Il tema del lavoro reso da Gaetano Miolato e Andrea Zamboni possiede grande potenza espressiva. Mentre il primo evento ad accendere l’interesse delle cronache fu il concorso per la decorazione della nuova sede della Borsa di Commercio presso la Gran Guardia. Vincitore fu Miolato, con bozzetti di finte architetture in stile dorico, armonizzate con l’impronta classica dell’edificio. Miolato si staccò dai temi centrali della pittura murale del primo novecento per dare una cadenza ritmica ai soggetti, con pose sempre varie.
Alfredo Savini fu un’altra personalità attiva nei primi decenni del ‘900 per la formazione di un’intera generazione di artisti. Negli anni 20 realizzò le pitture murali nella sede della Cooperativa Ferrovieri in via XX Settembre.
Oltre il tempo dell’affresco
La fama di Verona come urbs picta è spesso ribadita in numerose trattazioni. Fino agli anni ’10 vi fu una folta presenza di botteghe artigiane. Dagli articoli a loro dedicati si capisce quanto fosse considerata l’arte murale. Dall’Arena del 17 Aprile 1911 sulle ville di Borgo Trento: “Che importa se l’architettura ha qui smarrito la linea classica, aristocratica ed austera? Queste case son fatte per viverci dentro d’estate e d’inverno, fra la collina e il fiume: sono edificate apposta nella città per non accorgersi della città.”
Almeno fino al secondo dopoguerra, quando sia le avanguardie che le innovazioni tecniche rivoluzionano l’architettura prediligendo il risparmio. Comparvero vetrate, acciaio, rivestimenti in nuovi materiali verso un gusto sempre più asettico ed essenziale. Il lavoro di bottega ricevette una brusca frenata. Gli artigiani, la schiera di persone che avevano arricchito il paese con un’impronta formale ben precisa, vennero a poco a poco dimenticati.
L’evoluzione della pittura murale
Negli anni ’30 la pittura murale cambia e assume connotati molto diversi dagli anni precedenti. Scompare la committenza privata. In architettura si ricercano la funzionalità e la sintesi formale anche negli spazi domestici. Nel 1933 voci autorevoli del mondo artistico come Corrado Cagli auspicavano “nuovi muri” su cui dipingere. L’Affresco veniva investito di una “funzione sociale” ed “educatrice“, avendo il potere di “incidere sull’immaginazione popolare più direttamente di qualunque altra forma di pittura”, motivo per cui all’artista era vietato improvvisare e concedersi facili virtuosismi. Purtroppo con il sopraggiungere della guerra si ebbe anche la sospensione di interventi pittorici su larga scala.
La pittura murale a Verona: dall’affresco al graffito
La contemporaneità, con le sue innovazioni e la sua ricerca di movimento e semplificazione, sembra però conservare lo stesso spirito che il Cagli riconosceva ai maestri artigiani. Dalla metà degli anni ’90 in particolare, i writers dell’Associazione Street Scaligera e Eyelab Design hanno preso a cuore la città. Oggi è possibile vedere decine e decine di metri di muro dipinti a bomboletta da artisti veronesi e di tutto il panorama nazionale. L’idea, partita dall’iniziativa di questi artisti, ha trovato la buona disposizione dell’Amministrazione comunale, sfociando in opere di alto livello artistico. Alcune di queste si possono trovare lungo Stradone Santa Lucia, Viale Piave, Via Stazione Porta Vescovo, Ciclabile di Via Porto San Pancrazio e Via Don Luigi Bassani. Sono il frutto di una febbrile passione ma anche di uno studio interessante del rapporto tra architettura, paesaggio e impatto visivo.
La pittura murale a Verona oggi
Il collettivo di ASS mira a smuovere le corde più intime degli spettatori-cittadini. La volontà di “coprire il grigio” va oltre ogni scopo propagandistico, oltre le differenze politiche e d’età, vuole essere un’arte inclusiva. In questo proposito riappare la funzione più educativa della pittura murale, che diventa sempre più una caratteristica del nostro territorio. Se in altre città i graffiti rimangono sprazzi di colore indipendenti e rapaci, in più di un ventennio di operatività i writers veronesi sono riusciti a organizzare il lavoro, sviluppandolo in modo ordinato. Le stesse torrette elettriche, 8 sparse in tutto il Comune, sono un piccolo ma grandioso simbolo dell’attenzione progettuale verso il territorio. Vi è uno studio per cui i colori e i disegni scelti siano in accordo con la cromia del quartiere.
Dal primo Novecento ai graffiti
Ruskin, ne “Le lampade dell’architettura”, sottolinea l’importanza dell’affresco: “La pittura, quando si professa tale, non è un inganno: essa non proclama l’esistenza di alcunché che sia di natura materiale. […] Quale che sia il materiale, una buona pittura lo rende più prezioso.” La voce degli artisti di Associazione Street Scaligera sostiene e aggiunge ulteriori argomenti. “Deve esserci ricambio, movimento, se no la città non è viva.“ Diventa importante quello che chi dipinge impara mentre disegna. “La bellezza è non sviluppare attaccamento verso i propri disegni”, che anche già appena terminati e fotografati possono essere cancellati per lasciare spazio ad altre mani. La relazione struttura-dipinto assume caratteri nuovi pur conservando – ora appare molto chiaro – la sua fondamentale importanza.